Analizzando le caratteristiche di
ciascuna delle due, nel primo caso il piano preimpostato nelle dosi e
nel numero dei pasti (calibrato rispetto ad un preciso apporto calorico e
ripartizione di macronutrienti) che garantisce poca flessibilità nella
scelta degli alimenti è semplice da seguire a livello tecnico perché non
ci sono ampi margini di modifica: esso se strutturato bene apporta
macro e micro nutrienti nelle giuste dosi in modo bilanciato.
Ha però alcuni punti di debolezza: è la persona che si adatta alla dieta e non viceversa. Non essendo troppo elastica nella scelta degli alimenti e per niente nella struttura dei pasti porta la persona a vivere passivamente l’alimentazione. Se da un lato può apparire rassicurante dall’altro può diventare stretta ed insostenibile, provocando effetto di reattanza psicologica (in pratica ribellione ad una “imposizione”) e spesso abbandono della stessa. La dieta rigida dice COSA mangiare ma non INSEGNA come. È necessaria forte motivazione per aderire a tale regime, che ad ogni modo non è semplice da gestire sul piano sociale (non infrequente l’isolamento e l’evitamento delle situazioni “a rischio” sgarro). Inoltre, una volta raggiunto l’eventuale obiettivo della perdita di peso la persona non è ancora autonoma nel riuscire a gestire la propria alimentazione dal momento che questa, se in partenza squilibrata o eccessiva, avrebbe dovuto necessariamente implicare una “rieducazione”. Può essere utile al fine del raggiungimento di obiettivi sportivi nel breve termine, a fronte di una forte motivazione da parte del soggetto.
Ha però alcuni punti di debolezza: è la persona che si adatta alla dieta e non viceversa. Non essendo troppo elastica nella scelta degli alimenti e per niente nella struttura dei pasti porta la persona a vivere passivamente l’alimentazione. Se da un lato può apparire rassicurante dall’altro può diventare stretta ed insostenibile, provocando effetto di reattanza psicologica (in pratica ribellione ad una “imposizione”) e spesso abbandono della stessa. La dieta rigida dice COSA mangiare ma non INSEGNA come. È necessaria forte motivazione per aderire a tale regime, che ad ogni modo non è semplice da gestire sul piano sociale (non infrequente l’isolamento e l’evitamento delle situazioni “a rischio” sgarro). Inoltre, una volta raggiunto l’eventuale obiettivo della perdita di peso la persona non è ancora autonoma nel riuscire a gestire la propria alimentazione dal momento che questa, se in partenza squilibrata o eccessiva, avrebbe dovuto necessariamente implicare una “rieducazione”. Può essere utile al fine del raggiungimento di obiettivi sportivi nel breve termine, a fronte di una forte motivazione da parte del soggetto.
Tra la dieta rigida e la dieta flessibile si situa un tipo di regime conosciuto come IIFYM,
basato sul conteggio calorico e sulla ripartizione dei macronutrienti
nell’arco della giornata. A suo favore ci sono diversi punti: la dieta
si adatta alla persona, che deve imparare ad autogestirsi in maniera
elastica in base a ciò che può e che deve assumere. In questo modo
riesce a vivere le situazioni sociali senza apportare modifiche al piano
dei macronutrienti, può scegliere il tipo di alimenti, la composizione
dei pasti e la distribuzione durante la giornata. È sostenibile perché
prolungabile nel tempo e assolutamente gestibile con coscienza e
consapevolezza, in base alle proprie necessità e abitudini. Vi è però il
rischio che, dovendosi basare esclusivamente sulla quantità dei
macronutrienti, la persona perda di vista un po’ troppo spesso
l’attenzione alla scelta degli alimenti che può portare ad uno scarso
apporto di micronutrienti e alla selezione eccessiva di alimenti “non
sani”. A livello psicologico il rischio è di entrare nel circolo del
conteggio ossessivo delle calorie (le quali nella dieta rigida sono
invece precontemplate, dunque non è necessario approcciarvisi
costantemente), o di fare grandi abbuffate seguite da forte restrizione
compensativa non riuscendo a gestire un equilibrio. Esso in non rari
casi può essere contemplato come una sorta di “gabbia d’oro”:
molte persone si nascondono dietro a tale tipo di regime per mantenere
una disfunzionale sicurezza sulla propria alimentazione; la paura di
uscire fuori da un meccanismo numerico per il terrore di lasciarsi
andare, di perdere il controllo e di avere conseguenze sul piano fisico
(valutate spesso in modo irrazionalmente ed eccessivamente catastrofico)
porta dunque a incastrarsi e a mantenersi all’interno di questo
meccanismo poco sano e poco sereno.
Tale scelta deve comportare che il
rapporto col cibo sia sereno, senza che vi siano legami disfunzionali
tra questo ed il piano emotivo (dunque se il soggetto proviene da un
rapporto contrastante col cibo, che sia esso un disturbo alimentare
conclamato o una relazione poco serena con l’alimentazione vi è la
necessità imperante di risolvere tale problema mediante un supporto
psicologico che sciolga i nodi di questo conflitto) e che la persona
abbia coscienza dei propri meccanismi di fame e sazietà (senza farsi
troppo influenzare da variabili esterne). Il pro e il contro della dieta
flessibile è sovrapponibile perché è uno solo. Il soggetto deve infatti
trovare l’energia, la motivazione e la forza di diventare promotore
attivo delle proprie scelte e del proprio benessere, con consapevolezza e
coscienza, riuscendo a gestire e mantenere un equilibrio in maniera
durevole senza essere succube di schemi preimpostati: è funambolo sul
nastro della propria alimentazione e della propria salute senza
aggrapparsi, senza sbilanciarsi in maniera eccessiva, consapevole del
proprio baricentro ed esercitando la stabilità in modo naturale. Grazie a
queste caratteristiche la dieta flessibile ha le carte
in regola per ergersi come la migliore espressione alimentare
proiettata nell’ottica di uno stile di vita equilibrato e sano nel lungo
termine.
Il mio articolo per Studio Trainer Italia
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