lunedì 17 ottobre 2016

DONNE E FASE DI MASSA: APPROCCIO MENTALE FUNZIONALE ALLA “METAMORFOSI”



Settembre, periodo di nuovi inizi. Finisce l’estate, le giornate iniziano ad accorciarsi e il clima a farsi più frizzante. Abbandonato il costume in gran parte di Italia, tanti (e tante) ricominciano a pensare alla palestra (alcuni non l’hanno proprio abbandonata, altri l’hanno messa in stand by per un breve periodo, altri ancora si sono presi una pausa più lunga). Ad ogni modo con l’inizio dell’autunno si torna a pensare in modo concreto a come organizzare l’anno “sportivo”. Alcuni cambiano palestra, altri iniziano a farsi seguire da personale qualificato in modo da raggiungere obiettivi tanto bramati e spesso rimandati.
Quello che accumuna gran parte delle persone che frequentano la palestra in questo periodo è l’inizio di una fase finalizzata all’accrescimento della massa muscolare, ovvero la “fase di massa”, definita tale appunto per il fatto che la sinergia tra alimentazione e allenamento porterà a tale risultato: un incremento ponderale in termini di massa magra (e, in conseguenza, anche di massa grassa, in base al surplus della dieta). Tantissime ragazze si “lanciano” in questa fase, un po’ per emulare i propri “idoli”, un po’ per modificare il proprio aspetto fisico al fine di vedersi più “toniche” (e definite l’anno successivo).
C’è da distinguere di certo chi percorre fasi di massa un po’ estreme, che contemplano un incremento di massa piuttosto impegnativo (con conseguente aumento anche di massa grassa) e chi invece si approccia ad un percorso più sostenibile, una sorta di lean bulk (massa pulita). In entrambi i casi però bisogna prendere in considerazione alcuni fattori, da non sottovalutare per vivere serenamente il periodo.
Perché? Perché troppe persone iniziano un percorso focalizzandosi sull’obiettivo senza però ponderare in maniera preventiva il “viaggio”, arrivando a metà sentendosi spiazzate da una “forma” che non sentono loro, vivendo un disagio per un corpo che non appartiene alla persona che lo indossa.
L’orgoglio e l’amore per il proprio corpo è un equilibrio spesso fragile e vulnerabile. Avviene talvolta che quando si inizia un percorso volto al cambiamento questa “vittoria” non si sia ancora raggiunta del tutto, ma che si sia raggiunta una fase di accettazione. Dunque “sono così, va bene, ma voglio essere meglio”. Accade però che tra il “va bene” e il “voglio essere meglio” si inserisca una fase in cui “mi vedo peggio di come già non mi vedevo bene, a questo non avevo pensato e mi crea disagio”.
A cosa è dovuto questo “mi vedo peggio”?  All’incremento del peso sulla bilancia, valore troppe volte preso come determinante (specialmente da persone che per tutta la vita hanno “giocato al ribasso”), nonostante non riveli effettivamente la composizione di tale incremento: qualsiasi variazione in positivo può portare (a causa di pensieri automatici e sottostanti) a una situazione di abbattimento e disagio. Dunque il primo passo è non guardare i numero, ma guardare lo specchio (a tale proposito mi rivolgo anche ai preparatori e ai PT del caso: incentivate, spronate, affiancate le vostre ragazze; è un percorso spesso non facile ma “per vedere il panorama bisogna scalare la montagna” e la guida, oltre ad indicare il percorso, deve anche sostenere tenendo per mano).
E se il “non guardare la bilancia” non basta, perché anche lo specchio riflette un’immagine che non ci aspettavamo di vedere? È piuttosto frequente che accada. Il pantalone che fatica a chiudersi, quel filo di ritenzione in più, l’addome più appannato. Sono situazioni che è necessario contemplare anticipatamente, prima di trovarvisi dentro. L’obiettivo è avere ben in testa che stiamo percorrendo una strada, fatta di sudore e fatica, ma anche di tanta passione e dedizione, che ha lo scopo di portare il corpo ad una forma più forte o comunque ambita. Non bisogna vivere solo in funzione del risultato, ma assaporando ogni attimo del cambiamento, pensando che si sta lavorando per se stessi, per la propria “metamorfosi” e per il proprio benessere. Il percorso di acquisizione di massa muscolare non deve (a parer mio) essere vissuto solo come una svolta estetica, ben più come una “sfida” CON (e non CONTRO) se stessi.
Non si è il pantalone che non si chiude, non si è l’addome appannato o il mezzo chilo in più sulla bilancia. Quando si decide di cambiare si è grinta, tenacia, forza di volontà, passione e motivazione. Il corpo è una sostanza plastica che decidiamo di plasmare con le nostre stesse mani, concentrandoci non solo sul “cosa” vogliamo tirarne fuori ma soprattutto sul “come”. Qualsiasi status intermedio è preludio di qualcosa che porterà soddisfazione sul piano fisico e mentale.
Godersi ogni passo e viverlo in maniera serena e consapevole, senza trovarsi spiazzati di fronte a qualcosa che non ci si aspettava, fa in modo di arrivare alla meta in maniera più determinata e lineare possibile, senza scoraggiarsi o perdersi d’animo, senza “inciampare” o, nel caso lo si faccia, con le strategie per rialzarsi come in un burpee.

Il mio articolo per Studiotraineritalia.com

Le critiche degli altri

Capita che quando si intraprende un percorso di cambiamento che implichi una modifica delle abitudini precedenti, magari sul piano di un miglioramento delle abitudini alimentari o sulla frequenza dell'attività fisica, non manchino le critiche, i commenti velatamente negativi ed il continuo rimarcare da parte degli altri il cambiamento e la diversità (spesso con accezione negativa): "Sei cambiato", "prima eri diverso", "non ti riconosco più", " sei diventato "fissato" ". Partiamo dal presupposto che spesso può essere più una percezione che un dato di fatto. Il cambiamento comporta una messa in discussione di determinate abitudini che ci portano ad essere più vulnerabili e a percepire in maniera più dilatata le parole degli altri. Ma se la critica è palese ed esplicita innanzitutto è bene riflettere razionalmente sull'eventuale fondatezza della stessa (in certi casi potrebbero essere valide, ad esempio quando il cambiamento rasenta l'ossessione: in quel caso è bene dunque contemplare un percorso  per uscire da una rigidità, da una "fissazione" che porta a vivere con poca serenità).
Ma in alternativa, perché ci criticano? E perché quelle critiche ci rimbombano dentro?
Nel primo caso le ragioni potrebbero essere molte: ad esempio la tendenza naturale dell'uomo a razionalizzare, dunque a giustificare un proprio comportamento negativo screditando una scelta alternativa (la scelta di cambiare in positivo, ad esempio, trovando le strategie per muoversi verso un miglioramento, scastrandosi da una omeostasi sicura ma non ottimale), oppure la mancata capacità di comprendere, la difficoltà a trovare compromessi perché non sono loro ad essere cambiati (dunque il difetto si proietta nella persona che ha modificato la propria vita allontanandosi da uno status comune, a prescindere). La risposta alla seconda domanda può variare: le parole degli altri possono toccarci perché, come anticipato, in un percorso evolutivo vi è un fisiologico periodo in cui si ha la paura, oltre che di arrestarsi, di tornare alle abitudini precedenti, dunque è naturale avere timore che l'influenza altrui possa determinare tale effetto. Oppure potrebbe darsi che ci faccia rabbia che proprio gli altri, con abitudini sbagliate, si permettano di giudicare una scelta di salute (della serie "da che pulpito"). In quel caso è bene ricordare innanzitutto la questione della razionalizzazione espressa sopra, secondariamente la propria forma mentis prima di acquisire la motivazione al cambiamento.
Quindi come mi devo comportare?
Al momento in cui accusiamo una critica è bene valutare se essa è reale oppure solo percepita, se è motivata oppure no, conseguentemente cercare di capire il motivo per cui ci tocca, ma sopratutto comprendere il motivo per cui gli altri si sentono in dovere di esporla. Non tutti condividono, tanti non approvano, alcuni giudicano o screditano. Ma siamo davvero noi quelli "diversi"? Sì, ma diversità non è sinonimo di errore, anzi. Nella vita esiste un ampio range di scelte che non possono essere etichettate come sbagliate, tra cui certamente l'intraprendere una strada di cambiamento volta al miglioramento fisico e mentale. Sarebbe buona norma sostenere le persone che ci sono vicine, ma non possiamo pretenderlo. Scegliamo la nostra strada e in modo indipendente scegliamo di percorrerla. Non è possibile fare in modo che tutti apprezzino un percorso, ma possiamo prendere consapevolezza della soddisfazione e della positività del nostro cambiamento e della nostra scelta, con piena coscienza della propria autoefficacia. Potrà avvenire che col tempo si venga "accettati", "capiti", addirittura "seguiti". Nel frattempo è giusto progredire verso la propria realizzazione, facendo tesoro delle critiche "costruttive", impermeabili a quelle "distruttive".

Il mio articolo per Ironmanager.it

Reader InteraIl mio articolo per Ironmanager.it