La paura è una risposta emotiva ad una
minaccia o ad un rischio esterno e ben definito; è caratterizzata
dall’individuazione istantanea del pericolo presente e dalla coerenza
tra lo stimolo e la paura stessa. È una reazione adattiva, in quanto
mette il corpo in allerta e lo prepara alla reazione di attacco-fuga,
per auto tutelarsi e scappare: è dunque un meccanismo di “sopravvivenza”
funzionale, conseguenza di cause esterne e facilmente individuabili.
L’ansia, invece, è una emozione composta
da una costellazione di sintomi sul piano fisiologico (che interessano
l’apparato cardiocircolatorio, gastrointestinale, respiratorio, ed in
generale neurovegetativo), cognitivo (la catastrofizzazione, la
valutazione irrazionale della realtà, il perfezionismo, l’astrazione
selettiva, l’autosvalutazione) e comportamentale (evitamento o fuga
dalla situazione stessa) definibile come uno stato di agitazione o
fastidiosa tensione data dalla previsione (irrealistica e catastrofica)
di un pericolo imminente. Dunque l’ansia è spesso eccessiva e poco
coerente rispetto allo stimolo che la fa scaturire, e dipende
sostanzialmente dalla modalità della persona di approcciarsi con le
situazioni: spesso è la mancanza di un concreto esame di realtà che fa
in modo di esasperare uno status che di per se potrebbe risultare
funzionale. Si può definire “normale” quell’ansia che viene gestita
mediante strategie costruttive: essa diventa invece “patologica” quando
l’individuo agisce mediante meccanismi disfunzionali. Se l’individuo
infatti non mantiene un buon esame della realtà catastrofizzando l’esito
di una situazione vi è il rischio di un “blocco”, che può portare
all’evitamento: tale reazione è “funzionale a far calare l’ansia
nell’immediato, ma è disfunzionale in quanto rinforza il meccanismo
disadattivo.
Assenza, eccesso e normalità… come i livelli di ansia incidono sugli eventi?
Lo stato emotivo, come anticipato, porta
a conseguenze negative o positive in relazione al grado della sua
intensità. In prossimità di una gara, di un esame o di una situazione in
cui l’individuo deve essere “efficiente” un giusto livello di
attivazione (arousal) è funzionale in quanto permette di tenere alte la
motivazione e la tensione. Quando diventa invece ansia eccessiva invece
può portare ad un irrigidimento delle capacità cognitive e motorie
(quando inesistente, invece può essere causa di disimpegno e
indifferenza).
Nello sport si possono individuare
diversi tipi di ansia: l’ansia da prestazione, l’ansia di non essere
all’altezza, l’ansia di mantenere determinati risultati di performance
avuti in precedenza, l’ansia di gareggiare di fronte ad un pubblico
(fondamentale, prima di identificare eventuali cause intrapsichiche,
individuare se i sintomi fisiologici dell’ansia possano essere
determinati da altri fattori, quali un abuso di sostanze stimolanti,
un’alimentazione inadeguata o un eccesso di attività fisica).
Impariamo a gestirla!
Il primo passo (per un atleta in
particolare ma per qualsiasi individuo in generale) è la consapevolezza
del proprio stato emotivo: imparare a comprendere “cosa” fa scaturire
l’ansia, non tanto in termini di evento (facilmente identificabile),
quanto piuttosto nei termini della nostra “previsione di insuccesso” o
“risultato nefasto”. Tra l’evento e il significato che noi diamo ad esso
esiste infatti un “filtro mentale” più o meno funzionale (pensieri
automatici inconsapevoli). Dunque imparare a “capirsi”, analizzando ogni
aspetto di una situazione e cercando di comprendere come il nostro
approccio ad essa possa modulare l’eventuale risultato, mediante un
attendo esame di realtà (ovvero una visione “concreta” e non
“idealizzata” in maniera esasperatamente e irrealisticamente negativa)
farà in modo di riuscire a gestire in modo più funzionale le situazioni,
riuscendo a trarne vantaggio in termini di performance.
Il mio articolo per Ironmanager.it
Il mio articolo per Ironmanager.it
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