mercoledì 30 novembre 2016

L’ansia. Conoscerla e riconoscerla per imparare a gestirla

La paura è una risposta emotiva ad una minaccia o ad un rischio esterno e ben definito; è caratterizzata dall’individuazione istantanea del pericolo presente e dalla coerenza tra lo stimolo e la paura stessa. È una reazione adattiva, in quanto mette il corpo in allerta e lo prepara alla reazione di attacco-fuga, per auto tutelarsi e scappare: è dunque un meccanismo di “sopravvivenza” funzionale, conseguenza di cause esterne e facilmente individuabili.

L’ansia, invece, è una emozione composta da una costellazione di sintomi sul piano fisiologico (che interessano l’apparato cardiocircolatorio, gastrointestinale, respiratorio, ed in generale neurovegetativo), cognitivo (la catastrofizzazione, la valutazione irrazionale della realtà, il perfezionismo, l’astrazione selettiva, l’autosvalutazione) e comportamentale (evitamento o fuga dalla situazione stessa) definibile come uno stato di agitazione o fastidiosa tensione data dalla previsione (irrealistica e catastrofica) di un pericolo imminente. Dunque l’ansia è spesso eccessiva e poco coerente rispetto allo stimolo che la fa scaturire, e dipende sostanzialmente dalla modalità della persona di approcciarsi con le situazioni: spesso è la mancanza di un concreto esame di realtà che fa in modo di esasperare uno status che di per se potrebbe risultare funzionale. Si può definire “normale” quell’ansia che viene gestita mediante strategie costruttive: essa diventa invece “patologica” quando l’individuo agisce mediante meccanismi disfunzionali. Se l’individuo infatti non mantiene un buon esame della realtà catastrofizzando l’esito di una situazione vi è il rischio di un “blocco”, che può portare all’evitamento: tale reazione è “funzionale a far calare l’ansia nell’immediato, ma è disfunzionale in quanto rinforza il meccanismo disadattivo.

Assenza, eccesso e normalità… come i livelli di ansia incidono sugli eventi?

Lo stato emotivo, come anticipato, porta a conseguenze negative o positive in relazione al grado della sua intensità. In prossimità di una gara, di un esame o di una situazione in cui l’individuo deve essere “efficiente” un giusto livello di attivazione (arousal) è funzionale in quanto permette di tenere alte la motivazione e la tensione. Quando diventa invece ansia eccessiva invece può portare ad un irrigidimento delle capacità cognitive  e motorie (quando inesistente, invece può essere causa di disimpegno e indifferenza).
Nello sport si possono individuare diversi tipi di ansia: l’ansia da prestazione, l’ansia di non essere all’altezza, l’ansia di mantenere determinati risultati di performance avuti in precedenza, l’ansia di gareggiare di fronte ad un pubblico (fondamentale, prima di identificare eventuali cause intrapsichiche, individuare se i sintomi fisiologici dell’ansia possano essere determinati da altri fattori, quali un abuso di sostanze stimolanti, un’alimentazione inadeguata o un eccesso di attività fisica).

Impariamo a gestirla!

Il primo passo (per un atleta in particolare ma per qualsiasi individuo in generale) è la consapevolezza del proprio stato emotivo: imparare a comprendere “cosa” fa scaturire l’ansia, non tanto in termini di evento (facilmente identificabile), quanto piuttosto nei termini della nostra “previsione di insuccesso” o “risultato nefasto”. Tra l’evento e il significato che noi diamo ad esso esiste infatti un “filtro mentale” più o meno funzionale (pensieri automatici inconsapevoli). Dunque imparare a “capirsi”, analizzando ogni aspetto di una situazione e cercando di comprendere come il nostro approccio ad essa possa modulare l’eventuale risultato, mediante un attendo esame di realtà (ovvero una visione “concreta” e non “idealizzata” in maniera esasperatamente e irrealisticamente negativa) farà in modo di riuscire a gestire in modo più funzionale le situazioni, riuscendo a trarne vantaggio in termini di performance.
Il mio articolo per Ironmanager.it

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