martedì 13 settembre 2016

Programmazione nello sport: Quando l’approccio della mente può essere funzionale

La programmazione è un processo che teoricamente accompagna qualsiasi scelta e momento della vita. Non è dunque un programma statico o rigido, bensì un esplicarsi “in itinere” del percorso in base alle variabili di partenza e alle situazioni, agli eventi e ad i cambiamenti in corso d’opera.
Nella programmazione sportiva è necessario prendere in considerazione molteplici fattori, affinchè essa sia modellata dinamicamente sull’individuo e focalizzata sul risultato finale in modo ottimale ricordando che non esiste un programma perfetto di default, ma una programmazione “giusta” e differenziata per ognuno. Affinchè diventi davvero utile, infatti, come anticipato, un programma deve essere modulato e calibrato in base alle caratteristiche e agli obiettivi del singolo, tenendo conto del contesto.


Decidere i propri obiettivi

Innanzitutto, per decidere i propri obiettivi è necessario tenere presenti i “limiti” (si intendano i limiti concreti e reali, non quelli creati dalla propria mente) che si hanno: limiti di tempo, economici, fisici… e valutare se questi limiti possano essere superati. Focalizzare un obiettivo concreto e fattibile mediante un percorso coerente ad esso è il primo passo per non perdere la motivazione, dal momento in cui prevedere un obiettivo troppo alto (magari prendendo come “esempio” qualcun altro, con diverse possibilità e diverse caratteristiche) può portare a scoraggiamento. Un’analisi obiettiva delle caratteristiche di partenza è fondamentale per avere un quadro della situazione chiaro e realistico  affinchè gli obiettivi non siano né troppo elevati né troppo bassi. Fondamentale anche imparare ad avere il quadro della situazione nella sua complessità ed in generale, senza focalizzarsi o ossessionarsi su minuzie inutili o secondarie ma valutando il peso  che ogni variabile ha nel sistema. 
Oltre agli obiettivi, è necessario che i passi per raggiungerli siano (sempre flessibilmente) valutati in maniera realistica anche in relazione al tempo: imporsi tabelle di allenamento o alimentazioni rigide, drastiche, selettive e stressanti per il fisico è poco funzionale specialmente se non ambiamo a salire su un palco, o non vogliamo farlo nel breve termine. Studiare le “tappe” del percorso serve proprio sia a non arrivare alla fine “impreparati” rispetto a ciò che si desiderava (che sia una gara o un semplice risultato estetico) sia a fare in modo che il percorso sia sostenibile e bilanciato in ogni fase, senza dover fare tutto subito o tutto alla fine.

Ascoltare il proprio corpo

Quello che ritengo importante (in relazione alla mia professione) è anche imparare ad ascoltare il proprio corpo. La tabella è un’indicazione ma non pensa. Dunque se riteniamo che in determinati periodi di stress (collegati ad altre sfere della vita) o di stanchezza sia giusto o necessario allentare il tiro è bene farlo, analizzando ovviamente la situazione e cercando di comprendere anche se le cause possano essere collegate ad una perdita di motivazione. Il forzare infatti il proprio corpo a fare qualcosa potrebbe essere controproducente e quindi minare gli effetti positivi che la programmazione prevederebbe.
Altri punti da tenere sempre in considerazione sono i seguenti:
  • Valutare i risultati ad ogni fase (dunque ricercare i feedback della programmazione) è utile sia per tenere alta la motivazione, sia per aggiustare il tiro step by step al fine di ottimizzare la stessa.
  • Mantenere corpo e mente continuamente stimolati, senza rischiare di cadere nella monotonia e nell’appiattimento, sperimentando anche grazie al coach, studiando, informandosi rimanendo connesso con il proprio obiettivo con equilibrio e consapevolezza, seguendolo con costanza.
  • Esercitare la tolleranza alla frustrazione dovuta al dover attendere per il raggiungimento degli obiettivi, ricordando che non esiste il “tutto e subito”, imparando a riconoscere anche i risultati raggiunti senza sminuirli.
  • Allenare, oltre al corpo, la propria autoefficacia (ovvero la fiducia che si ha nelle proprie capacità, nell’avere strategie funzionali e nel raggiungere un risultato) e la propria resilienza (la capacità di fronteggiare gli eventi negativi, di riorganizzare la situazione in modo positivo riuscendo a “rialzarsi più forti di prima”) e la propria autostima.
  • Imparare a mappare i problemi, cercando di comprenderne le radici al fine di risolverli e decidere di agire in base alle risposte ottenute.
In conclusione, un’immagine a parer mio rappresentativa può essere questa: il corpo è una macchina alla cui guida sta la mente. Dunque la programmazione deve prevedere la collaborazione tra i due, al fine di essere soddisfacente e funzionale all’obiettivo che ci si propone.

Il mio articolo per Studio Trainer Italia

I programmi dimagranti e i pasti sostitutivi: Funzionano davvero?

L’arrivo dell’estate è preceduto, di pochi giorni o settimane, da numerosi metodi lampo per arrivare in spiaggia con una forma invidiabile per “rimediare” ai numerosi sgarri del periodo invernale e alla pigrizia, la cui combinazione ha probabilmente garantito una forma piuttosto appesantita di cui, alle porte della bella stagione, ci si vuole liberare.
Troppo spesso poco ci si concentra sul “come” raggiungere tale forma, purchè la si ottenga in breve tempo e il più agilmente possibile. Tali metodi comprendono diete scriteriate, poco equilibrate e sempre molto scarse (di cui è già stato trattato) su giornali o riviste patinate di larga diffusione, oppure l’utilizzo di programmi dimagranti. Ovvero? Sono programmi finalizzati ad ottenere una perdita di peso consistente in breve tempo, che prevedono l’utilizzo di pasti sostitutivi, integratori, drenanti…


Cosa promettono?

Assicurano risultati rapidi, duraturi e senza fatica, puntando anche su testimonial famosi, influencer (persone “comuni”, non particolarmente note, ma più “vicine” al potenziale cliente per più ordini di fattori) o personaggi che mostrano prima/dopo in modo particolarmente convincente, importanti campagne pubblicitarie o metodi di vendita del tipo “network marketing”. Ovviamente focalizzano la comunicazione persuasiva sulla forte perdita di peso nel breve termine, portando a proprio favore dati percentuali spesso falsati o che comunque non fanno menzione del fatto che nella stragrande maggioranza dei casi a conclusione del programma la persona riprenda tutto il peso perso, a volte con “gli interessi”.

Cosa sono in realtà?

Sono nient’altro che programmi alimentari stilati in modo da garantire un apporto calorico molto basso, e dunque una perdita di peso sicura.
Funzionano nel breve termine? Assolutamente sì, come qualsiasi alimentazione restrittiva che porti ad un deficit calorico piuttosto marcato. Questo implica una perdita di peso immediata (che ovviamente non comporta esclusivamente perdita di massa grassa, ben più perdita di liquidi e massa muscolare) con conseguente probabile stallo metabolico.
Funzionano nel lungo termine? Nella maggior parte dei casi no, per più ordini di ragioni. Innanzitutto, come anticipato, alla repentina perdita di peso conseguirà uno stallo, che avrà un impatto negativo sulla motivazione e sull’umore della persona, che facilmente abbandonerà il programma. In alternativa, il programma potrà essere abbandonato per ragioni economiche (generalmente sono molto dispendiosi) o per questioni di insostenibilità a livello psicologico o di gestione. Un programma che implichi integratori o pasti sostitutivi (dunque liofilizzati) è poco soddisfacente e impossibile da protrarre nel lungo termine. Non insegna a nutrirsi in maniera adeguata ma mette solo in “stand by” rispetto ad un’alimentazione eccessiva, inadeguata o poco bilanciata che al termine del programma verrà con buona probabilità ripresa.
La perdita di peso viene infatti mantenuta solo nel caso in cui la persona, successivamente all’interruzione del programma, decida di mettere in atto un’alimentazione bilanciata e moderata (cosa che avrebbe potuto comunque fare prima, evitando probabilmente eventuali problemi di rallentamento del metabolismo a cui certi programmi portano con frequenza).

Quali sono i rischi?

Il  soggetto, le cui caratteristiche psicologiche potrebbero essere (in misura maggiore o minore) locus of control principalmente esterno, scarso senso di autoefficacia e sfiducia in se stesso, si affida a “METODI MIRACOLOSI” (pasticche dimagranti, pasti sostitutivi… ) che non richiedano troppo sacrificio o forza di volontà, col fine di conseguire obiettivi estetici che in alcuni casi (a causa di tali modalità) si scontrano inevitabilmente con i fini salutistici che dovrebbero primeggiare. Tali soggetti mettono dunque nelle mani di un prodotto o di un “guru” ciò che non riescono (o meglio, pensano di non riuscire) a fare da soli, senza focalizzare adeguatamente sul piano della realtà quelli che possono essere i rischi o le false promesse ed attribuendo al mezzo, e non a se stessi, la responsabilità degli obiettivi che vogliono raggiungere.
Questo meccanismo, se il programma (come probabile) risulta fallimentare, rischia di mantenere e rinforzare il convincimento di essere completamente privi di strategie, piegati all’evidenza della propria mancata capacità e dunque di rimandare all’infinito il percorso verso una perdita di peso sana.
Concludendo, questi metodi hanno un effetto nel qui e ora e non nel lungo termine, dal momento in cui una persona che necessita di una perdita di peso deve essere motivata a conseguire un percorso di rieducazione alimentare che preveda la consapevolezza di ciò che deve assumere, visto che il sovrappeso è sempre (a meno di patologie) determinato da una cattiva/eccessiva alimentazione che deve essere riequilibrata. Dunque prendere in mano le redini della gestione del proprio equilibrio alimentare con pazienza, motivazione, criterio e consapevolezza (guidati o meno da un professionista in base alla necessità) è il primo indiscutibile passo necessario per intraprendere uno stile di vita sano e duraturo e il mantenimento di un peso adeguato nel lungo termine prendendo atto del fatto che i miracoli e le scorciatoie non esistono ma esistono solo la costanza e la determinazione.

Il mio articolo per Studio Trainer Italia

mercoledì 7 settembre 2016

Dieta Rigida VS Dieta Flessibile: Gestione e approccio psicologico

Quando ci si appresta a perdere peso o in generale a modificare la propria alimentazione (per obiettivo salutistico o sportivo) è necessario fare una scelta tra diversi percorsi, che si differenziano collocandosi in un continuum ai cui estremi troviamo la dieta rigida (non intesa necessariamente come forte restrizione calorica, piuttosto come impostazione molto schematica riguardo alla scelta degli alimenti e all’impostazione dei pasti) e dall’altra la dieta flessibile. Ogni approccio alimentare ha dei pro e dei contro.

Analizzando le caratteristiche di ciascuna delle due, nel primo caso il piano preimpostato nelle dosi e nel numero dei pasti (calibrato rispetto ad un preciso apporto calorico e ripartizione di macronutrienti) che garantisce poca flessibilità nella scelta degli alimenti è semplice da seguire a livello tecnico perché non ci sono ampi margini di modifica: esso se strutturato bene apporta macro e micro nutrienti nelle giuste dosi in modo bilanciato.
Ha però alcuni punti di debolezza: è la persona che si adatta alla dieta e non viceversa. Non essendo troppo elastica nella scelta degli alimenti e per niente nella struttura dei pasti porta la persona a vivere passivamente l’alimentazione. Se da un lato può apparire rassicurante dall’altro può diventare stretta ed insostenibile, provocando effetto di reattanza psicologica (in pratica ribellione ad una “imposizione”) e spesso abbandono della stessa. La dieta rigida dice COSA mangiare ma non INSEGNA come. È necessaria forte motivazione per aderire a tale regime, che ad ogni modo non è semplice da gestire sul piano sociale (non infrequente l’isolamento e l’evitamento delle situazioni “a rischio” sgarro). Inoltre, una volta raggiunto l’eventuale obiettivo della perdita di peso la persona non è ancora autonoma nel riuscire a gestire la propria alimentazione dal momento che questa, se in partenza squilibrata o eccessiva, avrebbe dovuto necessariamente implicare una “rieducazione”. Può essere utile al fine del raggiungimento di obiettivi sportivi nel breve termine, a fronte di una forte motivazione da parte del soggetto.

Tra la dieta rigida e la dieta flessibile si situa un tipo di regime conosciuto come IIFYM, basato sul conteggio calorico e sulla ripartizione dei macronutrienti nell’arco della giornata. A suo favore ci sono diversi punti: la dieta si adatta alla persona, che deve imparare ad autogestirsi in maniera elastica in base a ciò che può e che deve assumere. In questo modo riesce a vivere le situazioni sociali senza apportare modifiche al piano dei macronutrienti, può scegliere il tipo di alimenti, la composizione dei pasti e la distribuzione durante la giornata. È sostenibile perché prolungabile nel tempo e assolutamente gestibile con coscienza e consapevolezza, in base alle proprie necessità e abitudini. Vi è però il rischio che, dovendosi basare esclusivamente sulla quantità dei macronutrienti, la persona perda di vista un po’ troppo spesso l’attenzione alla scelta degli alimenti che può portare ad uno scarso apporto di micronutrienti e alla selezione eccessiva di alimenti “non sani”. A livello psicologico il rischio è di entrare nel circolo del conteggio ossessivo delle calorie (le quali nella dieta rigida sono invece precontemplate, dunque non è necessario approcciarvisi costantemente), o di fare grandi abbuffate seguite da forte restrizione compensativa non riuscendo a gestire un equilibrio. Esso in non rari casi può essere contemplato come una sorta di “gabbia d’oro”: molte persone si nascondono dietro a tale tipo di regime per mantenere una disfunzionale sicurezza sulla propria alimentazione; la paura di uscire fuori da un meccanismo numerico per il terrore di lasciarsi andare, di perdere il controllo e di avere conseguenze sul piano fisico (valutate spesso in modo irrazionalmente ed eccessivamente catastrofico) porta dunque a incastrarsi e a mantenersi all’interno di questo meccanismo poco sano e poco sereno. 

La dieta flessibile è invece una dieta (intesa come stile di vita) elastica che si adatta alla persona ed al contesto senza tenere rigorosamente conto di calorie e macronutrenti partendo dal presupposto che il corpo non è una macchina rigida ma appunto duttile, che si adatta continuamente aggiustando il tiro in relazione alle piccole variazioni quotidiane e che il conteggio calorico è spesso mera illusione, dal momento che non potremo MAI esattamente conoscere l’introito in base a tantissime variabili (contenuto di acqua, maturazione…). La dieta flessibile non comporta conteggi e schemi. Si basa sulla consapevolezza della persona, sulla conoscenza delle sue necessità e sulle sue abitudini, sulla rotazione degli alimenti, la varietà e l’elasticità, ed è sostenibile nel lungo periodo (diventa dunque uno stile di vita). Ovviamente questo tipo di approccio implica (come anticipato) una “rieducazione alimentare” per quanto riguarda soprattutto il “come” applicare i principi basilari di una sana alimentazione.
Tale scelta deve comportare che il rapporto col cibo sia sereno, senza che vi siano legami disfunzionali tra questo ed il piano emotivo (dunque se il soggetto proviene da un rapporto contrastante col cibo, che sia esso un disturbo alimentare conclamato o una relazione poco serena con l’alimentazione vi è la necessità imperante di risolvere tale problema mediante un supporto psicologico che sciolga i nodi di questo conflitto) e che la persona abbia coscienza dei propri meccanismi di fame e sazietà (senza farsi troppo influenzare da variabili esterne). Il pro e il contro della dieta flessibile è sovrapponibile perché è uno solo. Il soggetto deve infatti trovare l’energia, la motivazione e la forza di diventare promotore attivo delle proprie scelte e del proprio benessere, con consapevolezza e coscienza, riuscendo a gestire e mantenere un equilibrio in maniera durevole senza essere succube di schemi preimpostati: è funambolo sul nastro della propria alimentazione e della propria salute senza aggrapparsi, senza sbilanciarsi in maniera eccessiva, consapevole del proprio baricentro ed esercitando la stabilità in modo naturale. Grazie a queste caratteristiche la dieta flessibile ha le carte in regola per ergersi come la migliore espressione alimentare proiettata nell’ottica di uno stile di vita equilibrato e sano nel lungo termine.

Il mio articolo per Studio Trainer Italia